ENIL ItaliaVita Indipendente |
E' la prima volta che in una legge nazionale italiana si parla della "Vita Indipendente", e lo si fa legando tale termine a quanto andiamo sostenendo essere chiave per una reale Vita Indipendente fin dalla costituzione di ENIL Italia, cioè l'assistenza personale pagata con fondi gestiti dalla stessa persona con disabilità che utilizza questo servizio.
L'approvazione della parte della legge 162 che riguarda la Vita Indipendente sembra quindi una tappa fondamentale dopo circa dieci anni di intenso lavoro. ENIL Italia è infatti stata costituita nel 1991 ma i primi tentativi di portare in Italia i concetti e le idee innovative del movimento per la Vita Indipendente risalgono quantomeno al 1989.
Su questi concetti abbiamo fondato tutto il lavoro di ENIL Italia, e possiamo dirci soddisfatti dal fatto che il linguaggio che abbiamo proposto e gli argomenti su cui abbiamo puntato siano diventati patrimonio comune per molti, persone e organizzazioni, pur con le inevitabili differenze dovute a diverse culture e diverse "sensibilità".
Purtroppo capita che queste differenze non abbiano solide basi teoriche o tecniche, e realizzino soltanto le esigenze di un posto al sole e di voce in capitolo per chi le propone.
La legge 162 contiene diverse novità, ma in questo scritto viene trattato solamente il cosiddetto articolo l-ter. Eccolo:
1- ter) a disciplinare, allo scopo di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell'autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia.
Per comprendere bene come considerare questo articolo di legge e come ottenerne il massimo in fase di applicazione sarà bene iniziare con una per quanto possibile accurata analisi del testo.
Fortunatamente l'articolo I-ter contiene già una importantissima precisazione che gli conferisce una coerenza di fondo con i concetti della Vita Indipendente ed è quella che ricordavo all'inizio: la Vita Indipendente nell'articolo l-ter si concretizza nei servizi di aiuto alla persona gestiti in forma indiretta. Questo è "il" punto di forza di questo articolo e di questo dovremo pretendere l'applicazione puntuale e completa.
Art. 9 Servizio di aiuto personale. I. Il servizio di aiuto personale, che può essere istituito dai comuni o dalle unità sanitarie locali nei limiti delle proprie ordinarie risorse di bilancio, è diretto ai cittadini in temporanea o permanente grave limitazione dell'autonomia personale non superabile attraverso la fornitura di sussidi tecnici, informatici, protesi o altre.forme di sostegno rivolte a facilitare l'autosufficienza e le possibilità di integrazione dei cittadini stessi, e comprende il servizio di interpretariato per i cittadini non udenti.
In ogni caso ritengo importante che la parola "permanente" non venga considerata sinonimo di "stabilizzata" e quindi comprenda anche le disabilità evolutive, causate da malattie progressive come la sclerosi multipla o la distrofia muscolare. D'altronde questo è già affermato nel primo comma dell'articolo 3 della legge 104/92. Eccolo:
Art. 3 Soggetti aventi diritto. I. E' persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
Se le parole sono una cosa seria e hanno riferimenti scientifici precisi, bisogna guardarsi dall'uso inappropriato e fantasioso di parole come il "diversamente abili" contenuto in un disegno di legge presentato in Parlamento. che prevede che in tutta la legislazione italiana, dove si utilizzano i termini sopra citati, questi vengano sostituiti con il "diversamente abili", contratto in "diversabili". A me questo sembra poco serio: insistere sulla distinzione e separazione fra la persona e le sua situazione di disabilità, al punto che tale disabilità debba perfino scomparire dal lessico non aiuta certo a costruire progetti efficaci nel superamento dell'handicap (handicap che la società impone a chi ha delle disabilità). Secondo me il "diversabile" non è neppure un eufemismo, è solo una parola senza sostanza. Ricordo che il termine che noi proponiamo da anni: "Persona con disabilità" deriva direttamente dalle definizioni OMS (Organizzazione mondiale della Sanità, organismo delle Nazioni Unite) su menomazione, disabilità ed handicap, e che ciascuna di queste definizioni ha un significato tecnico ben preciso.
Anche le parole successive dell'articolo l-ter: "la grave limitazione dell'autonoMia personale" richiedono una precisazione: il termine "autonomia" viene usato correntemente nell'ambito della riabilitazione con un significato assai diverso rispetto a quello che la parola significa nella sua letteralità; autonomia deriva da due parole in lingua greca: autòs", che significa "da soli" e "nòrnos", che significa norma, legge. Quindi il termine autonomia non vuol dire "fare le cose da sé", bensì "darsi da soli le proprie leggi". In filosofia il termine autonomia viene spiegato così: "il potere dello spirito di dare a se stesso la propria legge" e della parola autonomia il dizionario Devoto-Oli dà la seguente descrizione: "La posizione giuridica di uno stato che si governa con leggi proprie, o anche di enti o persone nella cui sfera di attività non vi sia ingerenza da parte di altri". In questo senso, anche secondo lo stesso dizionario, la parola indipendenza è una estensione dell'autonomia, e significa: libertà riconosciuta nell'ambito delle proprie decisioni". Quindi il legislatore avrebbe fatto meglio a scrivere "autosufficienza" anziché autonomia, oltre tutto senza l'aggiunta del pleonastico "personale".
Perché insisto tanto con la terminologia e la sua precisione? Perché la precisione ci aiuta a definire meglio le situazioni e le necessità, ed è indispensabile a far comprendere al nostri interlocutori quanto sia infido e stretto il passaggio fra lo Scilla e il Cariddi del becero e mortificante assistenzialismo e l'abbandono ad un improbabile "Fai da te", e quanto sia difficile superare questo stretto per giungere nel mare aperto della libertà.
Se il legislatore accettasse questa proposta, magari in una interpretazione restrittiva, e non comprendesse nelle funzioni essenziali della vita anche il poter vivere la propria esistenza in modo autodeterminato, da un canto deriverebbe l'esclusione di molte persone dal legittimo diritto all'intervento di sostegno, e dall'altro il rischio che l'intervento potrebbe essere "di autorità" limitato al sopperire, laddove possibile, soltanto alle funzioni essenziali sopra dette. Certo è un aiuto indispensabile per chi ne ha necessità, ma limitare l'intervento alla sopravvivenza è un intervento lontanissimo dalle enunciazioni del movimento internazionale per la Vita Indipendente. Secondo me le "funzioni essenziali della vita" dovrebbero essere in qualche modo correlate ai diritti umani, civili economici e politici che la Repubblica riconosce avendo sottoscritto le relative convenzioni internazionali, e ai diritti che la Costituzione italiana definisce "inviolabili".
Ci sono persone che sono disposte ad utilizzare ausili anche se questo comporta maggiori difficoltà pratiche perché preferiscono fare da soli il maggior numero possibile di cose, e, al contrario, ci sono persone che vogliono ottimizzare al massimo il loro tempo e quindi hanno l'esigenza di ottenere l'aiuto di volta in volta più efficiente. Un solo esempio, forse il più provocatorio, vista la visione "risolutiva e salvifica" che i non addetti ai lavori hanno dell'informatica nel contesto handicap: per una persona con grave disabilità scrivere una lettera al computer può essere un lavoro davvero lungo e faticoso, anche se oggi vi sono programmi e dispositivi che aiutano notevolmente in questa attività. D'altra parte un assistente personale può scrivere "sotto dettatura" in modo quasi sempre più veloce e preciso. Allora la scelta del "concedere" l'uso di un assistente personale non deve essere legata solo al fatto che con un computer adattato sia possibile scrivere una lettera, ma anche a quali condizioni si costringa chi non vuole utilizzare tale ausilio, ma è costretto ad utilizzarlo perché non gli vengono offerte alternative.
Più avanti nel testo si parla dei progetti personalizzati, e dei vantaggi e degli svantaggi che questi possono comportare: se la persona con disabilità non richiede (o non presenta) un piano personalizzato, e si limita ad una generica domanda per ottenere un congruo numero di ore di assistenza personale, quale potrebbe essere il percorso dell'istruttoria e quali i criteri per arrivare ad una scelta, stante l'esiguità dei fondi per il momento disponibili, quali le richieste da soddisfare e quali no? Una risposta potrebbe venire proprio da quelli che la legge definisce "programmi di aiuto alla persona". E non è detto che tale risposta sarebbe ben accolta dalle persone con disabilità. Infatti programma significa di solito standardizzazione e classificazione. Abbiamo visto e stiamo ancora vedendo quali e quanti danni possano fare le velleità di classificazione. Ad esempio nella procedura per il riconoscimento della "invalidità" a fini pensionistici. Ad esempio nelle inefficaci procedure, oggi forse superate, per l'inserimento lavorativo. Ad esempio con la famigerata circolare 148 con cui il ministero dei Trasporti intendeva "regolare" la questione degli adattamenti ai veicoli per consentire la guida da parte di persone con le più diverse disabilità.
Siccome a dover "disciplinare" sono le Regioni e le Province autonome, culture diverse e diversi orientamenti politici probabilmente avranno l'effetto di far interpretare questa norma in modo molto diverso. Un compito impegnativo che ciascuno si deve assumere è intervenire per quanto possibile presso gli Enti competenti per territorio e fare in modo di far prevalere le esigenze delle persone con disabilità rispetto alle pretese "programmatorie" e "classificatorie" degli Enti stessi. Le tabelle e i progetti "standard" rendono la vita più facile a chi deve decidere, ma spesso hanno effetti paradossali e tragici sulla vita delle persone.
Questi episodi richiedono una risposta forte e nitida da parte di tutti coloro che hanno a cuore la libertà e il diritto delle persone con disabilità. Per un momento, quindi, se mi si concede questo gioco di parole, rispetto a questa legge occorre passare dal suo testo al suo contesto. Gli episodi sopra citati confermano che in Italia spesso i conservatori più accaniti sono le stesse persone con disabilità, allevate in una cultura da sudditi, addestrate nella lotta fra poveri a strappare al "potente" di turno la promessa di una briciola in più rispetto al vicino, o a scavarsi una nicchia più comoda e garantita. Non si rendono conto di quanto poco hanno e non sperano in altro che in briciole e nicchie, timorose di ogni cambiamento che potrebbe mettere a rischio il loro piccolo potere e la loro presunta sicurezza, incapaci di progetto, di idee, forse dell'idea stessa di libertà.
Altri attori del contesto, invece, pongono il problema sotto un aspetto ideologico: sono per definizione contrari alla "monetizzazione". Pur consapevoli che i servizi di assistenza organizzati dai Comuni e magari affidati in convenzione alle cooperative non vivono certo d'aria, e che in quegli ambiti i furti, gli sprechi e le sopraffazioni sono all'ordine del giorno (come ammettono gli stessi responsabili di quei servizi), ritengono comunque che il denaro dato alle cooperative sia "buono" mentre quello dato alle persone sia "cattivo". Ritengono che lo Stato si debba assumere delle dirette e fattive responsabilità e che le persone in difficoltà non debbano essere lasciate sole".
Quello che in questi anni ENIL Italia si è sforzata di dire, evidentemente poco compresa, è che ciò che conta è la libertà di scelta delle persone con disabilità. Ci sarà chi vuole gestire senza intermediari la propria vita e quindi utilizzerà le tecniche e i concetti della Vita Indipendente, e chi preferirà una vita più "sernplice" lasciando ad altri il compito di organizzare i servizi di cui ha necessità. I due sistemi non sono in contraddizione e possono benissimo coesistere. Il problema è che spesso le posizioni ideologiche somigliano a precetti religiosi, per cui alle persone che di queste posizioni si fanno portabandiera non basta comportarsi secondo le regole e la morale della loro "fede", ma sentono l'esigenza di guidare e se possibile obbligare anche gli altri sulla "giusta" via da loro indicata. E' insomma il discorso di chi trasforma immediatamente un legittimo punto di vista del: "io non lo farei" con un inaccettabile imposizione del: "tu non lo devi fare".
Inoltre una parola va spesa sul tabù della assunzione quali assistenti personali dei propri famigliari. Secondo il movimento per la Vita Indipendente questo non è auspicabile, però non deve assolutamente essere proibito, come alcuni vorrebbero fare. Infatti oggi si scarica sulle famiglie e di solito su madri, mogli e sorelle l’onere dell’assistenza non solo non pagata, ma distruttiva delle prospettive di vita di quel famigliare, che non può evidentemente lavorare, che non potrà avere una pensione dignitosa, e di cui si sfrutta il lavoro gratuito giocando sul ricatto dell’amore che questi porta per la persona con disabilità. A questo punto, se non vi sono soluzioni migliori, è meglio superare l’ipocrisia e riconoscere alla persona con disabilità la possibilità di assumerlo, quel famigliare, garantendogli almeno un minimo di indipendenza economica e una dignità sociale per l’attività che svolge.
Occorre anche dire qualcosa sulle proposte che alcuni fanno: quelle sulla deducibilità delle spese per l'assistenza. Secondo me sono proposte pericolose e per certi versi inaccettabili. Intanto perché le persone con disabilità hanno mediamente un reddito molto basso e quindi non si comprende come potrebbero dedurre da questo reddito la spesa per l'assistenza, spesa che può essere piuttosto alta, ed è tanto più alta tanto più è grave la disabilità, e di solito proprio chi ha la disabilità più grave ha anche il reddito più basso. Un circuito infernale. In secondo luogo perché la prima obiezione che ci si sente fare all'argomento di cui ho detto, è che la deducibilità va ricondotta al reddito famigliare. Il che significa ancora una volta legare la vita della persona con disabilità alla propria famiglia. Cioè ancora una volta "scaricare" sulla famiglia l'onere dell'assistenza. Infine perché se le spese per l'assistenza sono deducibili, l'altra faccia della medaglia è che il denaro che si ottiene per pagarsi l'assistenza costituisce reddito, cosa evidentemente assurda. Il finanziamento delle spese per l'assistenza personale deve avere lo status giuridico che oggi ha l'indennità di accompagnamento: deve cioè non essere legato al reddito, né personale né famigliare, e non deve costituire reddito.
Ogni dettaglio aggiuntivo che non si limiti a dire di quante ore di assistenza una persona abbia bisogno, rischia di costituire una "prova a carico" che può essere usata nel processo decisionale, secondo la migliore tradizione del mondo giuridico anglosassone: "Puoi rimanere in silenzio, ma se parli ogni cosa che dirai potrà essere usata contro di te in tribunale". Infatti dichiarare nel proprio progetto personalizzato obiettivi diversi da quelli ritenuti tradizionalmente "sani" (studio, lavoro, etc.) susciterebbe negli uffici preposti a decidere su queste domande delle reazioni diverse in base a fattori del tutto imprevedibili. Non credo infatti che "neutralità" e rispetto delle scelte individuali siano le maggiori qualità, ad esempio, di assistenti sociali e personale sociosanitario o amministrativo. Quindi per le persone con disabilità diventerebbe esplicito ed imperativo preparare e discutere progetti "accettabili", tutti tesi al valore della "integrazione sociale" che come ENIL Italia e come movimento per la Vita Indipendente non abbiamo mai ritenuto essere fra gli obiettivi principali. Ecco quindi il rischio di omologazione indotta: "Questo progetto non va bene, se vuole che le finanziamo l'assistenza deve cambiare i suoi obiettivi", sia di omologazione autoindotta: "Se faccio un progetto «diverso» non verrà accettato e quindi pur di ottenere l'assistenza che mi serve adeguo i miei obiettivi e lascio perdere i miei reali desideri". Infine, come notazione di carattere generale, se una persona deve "discutere" con altri delle proprie scelte di vita si viola il suo diritto alla privacy, diritto per altro garantito da una legge.
Su questi aspetti mi sembra corretta, come esempio, l'impostazione spesso citata da Raffaello Belli sulla guida delle autovetture: "insegnare a guidare non deve diventare un alibi per indagare sul dove una persona poi andrà con la sua macchina".
Per quanto riguarda invece la verifica dell'efficacia dei servizi attivati, l'unico strumento praticabile e rispettoso della privacy è una dichiarazione di gradimento rilasciata dalla stessa persona con disabilità che utilizza gli assistenti personali. D'altronde, se questa persona non fosse soddisfatta della soluzione adottata, prima cercherebbe di risolvere i problemi e poi, nel caso non le riuscisse, rinuncerebbe alla gestione "indiretta" per rientrare come utente nel servizi organizzati dalle cooperative o dagli enti pubblici a ciò deputati. Dunque non si vedono ragioni così impellenti della verifica da richiedere impegni gravosi e quindi vessatori per le persone con disabilità, né particolari esigenze che possano giustificare la violazione della privacy o addirittura l'intrusione e il condizionamento delle personali scelte di vita, se non "ragioni" dettate da pregiudizio, e quindi da respingere in modo altrettanto pregiudiziale.
giugno 1999 - © John Fischetti